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La critica e gli orientamenti che ruotano intorno e sistema dell'arte hanno reso sempre più difficile scrivere e parlare di un artista. i critici antichi si limitavano a narrarne la vita e a descriverne le opere, quelli moderni si attribuiscono il compito di evidenziarne i risvolti estetico-filosofici, che consentono di collocarli all'interno di vari movimenti e correnti, quando addirittura non ne teorizzino essi stessi di nuovi, individuando gli artisti omogenei alla teoria enunciata: l'adesione del mercato sancirà la conferma della validità dell'asserto, determinando la consacrazione di critico e artisti nel sistema dell'arte. E la fortuna di entrambi. Obiettivo di queste righe è cercare di raccontare chi è Remo Suprani, uomo e artista, e come si possa guardare la sua opera. Ero con mia moglie in una Ravenna afosa come sempre, nell'estate del 1996, quando vedemmo una piccola mostra che ci attirò, il pittore che ci accolse era Remo Suprani. Gli acquistammo quattro piccoli alkidici su cartone, pareva quasi scusarsi nel cedere quadri per denaro, sembrandogli il nostro apprezzamento già compenso sufficiente. Da quel momento le occasioni di incontro si sono sempre più intensificate: dagli inviti alle mostre alle discussioni sull'arte nel proprio studio o a tavola a casa nostra, come s'usa in romagna. La frequentazione è diventata in breve e molto naturalmente un'amicizia. La modestia e il pudore che lo contraddistinguono, non sono mai cambiati, da allora, il rapportarsi al proprio lavoro e al mercato: animo libero dalla presunzione e dall'orgoglio che affligge tanti artisti, è severo critico del proprio lavoro e indulgente verso quello altrui. Remo ha sempre condotto una vita incredibilmente sobria, appartata ed aliena dall'inseguire le mode e le frenesie del momento, ricercando quella dimensione a misura d'uomo che poi traspare dai suoi lavori. La lirica e il sentimento visibile nelle proprie opere è privo di retorica, non esiste il decorativismo, ne cede al compromesso in nome della facile commerciabilità. Si avverte quanto profondamente il suo operare affondi le radici nella cultura della sua Ravenna, una città portuale che non ha mai scordato d'essere stata capitale all'incrocio di Roma e Bisanzio, che ha vissuto l'isolamento e la decadenza delle paludi e del mare che l'attorniano, ma che conserva memorie e tesori, bagliori d'oriente di cupole e mosaici ma anche i versi di Dante e di Byron e il dialetto vitale di Olindo Guerrini. Un discorso pittorico quello di Suprani, che naturalmente si colloca tra occidente ed oriente, lo speciale legame con Venezia, città che ha lasciato su Ravenna e sul suo essere pittore un'impronta. Pittura-piacere, che nasce dalla materia del substrato, una macchia, un nodo, una fessura sulla tavola, la granulosità di un cartone, il disegno della ruggine su una lastra. Da una pennellata scomposta su di una superfice levigata e chiara, nascono le tracce, assecondate per aggiunte e sottrazioni, senza un disegno presupposto e studiato, senza un progetto che non sia una partecipazione profondamente vissuta nel suo farsi. Un sentire-pittura, una gestualità che nasce da una ricerca difficile e sofferta, dal dubbio permanente, dallo stupore del risultato ottenuto senza cercarlo, emozionante ed emozionata, necessitata, intuitiva, imprevista ed imprevedibile. Remo Suprani non ha la presunzione, propria di tanti colleghi, di dire sull'arte qualcosa di unico, di definitivo, che abbia magari l'intento di modificare il mondo: egli sa che l'artista non cambia il mondo; al più può evidenziare alcune contraddizioni, sottolineare qualche aspetto negativo della società, se considera il proprio lavoro come impegno civile, oppure può cercare di descrivere il mondo come vorrebbe che fosse con gli strumenti del proprio mestiere, oppure rifiutare impegno, illusioni e lusinghe, e ritirarsi in quell'ambito privilegiato che è il suo studio; perché la tensione dell'arte può essere bastevole, e contenere in sé ogni appagamento emotivo. Suprani, appartiene a quel genere di artisti che hanno bisogno di vivere la propria dimensione appartati, lontani dalla frenesia della vita attuale, dal consumismo, dalla tecnologia esasperata, dai riti socia li legati al proprio lavoro; il suo è un fare pittura soprattutto per se stesso, una sorta di autoanalisi, che è esigenza di approfondimento di se e gratificazione al contempo. "Nudi" e "Paesaggi" e Nudi come Paesaggi, basta un particolare a definire un corpo, dove l'indefinito, l'inespresso, è la cifra, il senso: l'ombra è la rappresentazione, l'affiorare di un volto, spesso autoritratto, un torso, pittura figurativa ed informale insieme. Conosco la sua sofferenza quando ha il timore di non riuscire a lavorare, quando il lavoro non viene e l'ispirazione si rivela una ricerca al buio ignorando l'approdo, finchè un equilibrio non si rivela, l'immagine si risolve in gesti contrappesi e finalmente...è appagante...il quadro è finito. Ricordo il tono di soddisfatta felicità quando un giorno al telefono mi ha comunicato di aver introdotto nella sua tavolozza un nuovo colore. La capacità di emozionarsi per l'introduzione di una nuova sfumatura di colore da aggiungere, dopo anni ai pochissimi della sua calibrata tavolozza, mi sembra il più bel modo di fermare per ora il discorso su Remo Suprani, e quello che meglio lo connota come artista.
Alberto Fabbri
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